Con un risarcimento medio di appena 500 euro a domanda, solo il 70% delle richieste di indennizzo è stata liquidata. Agricoltori esasperati: tra burocrazia e ritardi si arriva a perdere anche 2 anni di lavoro.

Cia Umbria punta nuovamente i riflettori sui danni all'agricoltura causati dalla fauna selvatica, in particolare dai cinghiali. Questa volta facciamo parlare i numeri che ci arrivano dalla Regione e dagli Ambiti Territoriali di Caccia (Atc), confermando una situazione ormai insostenibile per i nostri agricoltori.
In totale, nel 2017 sono arrivate agli Atc 1, 2 e 3 dell'Umbria 1.321 richieste di indennizzo dagli agricoltori, così distribuite: 525 Atc1, 415 Atc e 381 Atc3 (dati forniti dalla Regione Umbria). Di queste, l'Atc 1 sostiene di averle ammesse tutte, mentre per quanto riguarda l'Atc 2 e l'Atc 3, sono state giudicate idonee al risarcimento e quindi liquidabili in base alla vigente normativa regionale L.R. 17/2009 e R.R. 5/2010, rispettivamente 277 (su 415) e 166 domande (su 381). In totale, a conti fatti, sono risultate idonee al risarcimento 968 richieste su 1.321, vale a dire solamente il 73%.
La spesa totale sostenuta in parte dalla Regione e, oltre un certo tetto, dagli stessi Atc secondo le norme regionali, è stata nel 2017 pari a € 671.279,24 , così ripartita: € 330.046,08 per le domande arrivate all'Atc1, € 161.613,18 per l'Atc2 e € 179.619,98 per l'Atc3. Basta fare un semplice calcolo per rendersi conto di quanto ogni agricoltore che ha visto andare in fumo il duro lavoro di un anno in pochi minuti percepisce come risarcimento: in media vengono versati appena € 508 a domanda. Una situazione ridicola e inaccettabile, che sta portando i nostri agricoltori all'esasperazione e, in alcuni casi, perfino alla rinuncia della propria attività (i dati del 2018 sulle richieste di indennizzo sono in calo*), con l'amara considerazione che in molti casi conviene più fermarsi che investire e ritrovarsi dopo tanto lavoro con poche briciole.
Come se questo non bastasse, l'iter burocratico per liquidare le pratiche è così farraginoso che si arriva a perdere perfino due anni di lavoro prima di ottenere il dovuto e ricominciare. Come confermato dall'Atc1, infatti, gli indennizzi del 2017 sono stati totalmente liquidati solamente a settembre 2018. Facendo un esempio concreto: ad ottobre 2016 un agricoltore prepara il suo terreno per le colture, sostenendo i costi per l'acquisto della semente, della manodopera e dell'attrezzatura necessaria. In primavera-estate 2017 i cinghiali invadono il terreno e spazzano via il raccolto; l'agricoltore inoltra subito la richiesta di indennizzo (pagando € 90 solo per inviare la domanda) . Successivamente la pratica viene accolta, dopo il sopralluogo dell'agronomo, e viene mesa in stand-by per la liquidazione che arriverà solamente entro settembre 2018 (come nel caso dell'Atc1 per le domande del 2017). Ecco che sono passati ben 2 anni per l'agricoltore. Due stagioni di mancato guadagno che un risarcimento medio di appena 500 euro non può ammortizzare!
Nel 2018 i prelievi di contenimento per l'Atc1 sono stati 1.250. Troppo pochi rispetto al numero di ungulati in continuo aumento. Come già ribadito più volte, il Presidente Bartolini esprime con forza la necessità di un nuovo approccio nella gestione del contenimento, con un piano di contenimento pluriennale, che superi l'attuale situazione che vede le stesse squadre di cacciatori impegnate durante la normale stagione venatoria e durante gli interventi di contenimento. "Appare evidente – afferma Bartolini - il conflitto di interessi della categoria. Non può più essere la stessa squadra di cacciatori della zona a gestire il contenimento. Dovremmo seguire le orme dell'Emilia Romagna che ha deciso di assumere nuove figure di 'coadiutori abilitati', vale a dire cacciatori, per far fronte all'emergenza danni causati dagli ungulati. Mentre in Toscana, dopo il parere favorevole dell'Ispra, si è deciso di aprire la caccia al cinghiale tutto l'anno in quelle aree non vocate in cui viene posto l'obiettivo di raggiungere e mantenere le popolazioni di cinghiale ad una densità tendente a zero, considerando l'elevata diffusione di coltivazioni agricole sensibili presenti".
Non può più essere una battaglia tra cacciatori e agricoltori, ma un lavoro responsabile di vera crescita economica per tutti.
(*I dati del 2018 non sono ancora completi)

"Dopo anni di incertezze finalmente una normativa che mette al centro i produttori umbri e apre la strada ad un sistema di alleanze per fare agri-cultura"

I prodotti del territorio indiscussi protagonisti, insieme alle bellezze paesaggistiche, per chi sceglie l'Umbria. È il punto centrale del nuovo regolamento regionale per gli agriturismi che arriva oggi dopo un'attesa di circa 4 anni.

"Dopo questi anni di incertezze - commenta il presidente Cia Umbria Matteo Bartolini - oggi abbiamo finalmente il nuovo regolamento che disciplina il comparto degli agriturismi in Umbria. Una legge in cui rientrano le fattorie sociali, quelle didattiche e le attività ricettive, e che arriva appena in tempo per dare nuovo impulso al comparto, dopo la difficile ripresa post terremoto. Un regolamento che integra bene territorio e agricoltura, e considera il soggiorno in un agriturismo della nostra regione un'esperienza completa da offrire al turista-cliente, assegnando ai titolari delle strutture il ruolo di ambasciatori di ciò che mi piace definire 'agri-cultura'".

I punti di forza

Si introduce, in modo chiaro, l'obbligo per chi fa ristorazione di servire esclusivamente prodotti locali, preparati da aziende agricole regionali che devono essere "espressione e valorizzazione delle produzioni agricole aziendali, del territorio regionale, delle tradizioni enogastronomiche tipiche locali e della cultura alimentare dell'Umbria", come scritto nel nuovo regolamento. E più chiaramente, la nuova regolamentazione introduce "il divieto di proporre prodotti tipici e bevande di altre regioni o di Stati esteri salvo quelli legati agli usi locali ove presenti, ovvero nei territori di confine, se tipici di comuni extra regionali confinanti".

Non solo, la degustazione dei prodotti agroalimentari in azienda può riguardare non esclusivamente il cibo direttamente prodotto dall'agriturismo, ma anche l'assaggio delle prelibatezze di altre imprese agricole regionali, nell'ottica di un nuova alleanza che punti ad incrementare gli introiti e a dare la giusta visibilità alle vere tipicità regionali: si pensi all'olio, alla fagiolina del lago, alle lenticchie, al tartufo.

Rientrano, da oggi, nella categoria di strutture ricettive anche quelle aziende che non offrono il pernottamento ma solamente la degustazione di alimenti tipicamente regionali da loro coltivati e/o trasformati, espressione della ricchezza e della biodiversità dell'Umbria. Una scelta giusta che, secondo Cia Umbra, riconosce a quei piccoli produttori il ruolo di promotori di un'importante azione di recupero di alcuni territori marginali. Troppo spesso si parla di 'rete' senza centrare l'obiettivo: in questo caso la strada è quella giusta.

Su tutte queste novità, la Cia Umbria è soddisfatta del lavoro svolto dalla Regione in quanto ha dato uniformità e chiarezza a livello regionale su tutti gli adempimenti burocratici da seguire, oltre a facilitare la creazione di una rete imprenditoriale interprofessionale, a livello turistico, che intercetta al meglio le esigenze di una nuova tipologia di turista/cliente, non più solo il turista italiano mordi e fuggi, ma anche lo straniero che decide di fermarsi in Umbria per un mese e godere, a 360 gradi, di ciò che la nostra terra può e deve offrire.

Unico neo per Cia Umbria: il mancato 'agrocatering'

Unico neo del nuovo regolamento è, per Cia Umbra, la mancata introduzione di ciò che avevamo definito "agrocatering", vale a dire la possibilità per gli agriturismi che non fanno ristorazione di poter avviare delle collaborazioni per l'organizzazione di un evento – compleanno, festa di laurea, matrimonio, cena aziendale o altro – senza rivolgersi esclusivamente alle aziende di catering , ma coinvolgendo invece quei produttori di eccellenza locali dotati di idonea attrezzatura per la preparazione e la cucina del cibo. Di fatto, la nostra proposta ha incontrato i dubbi di altri settori. Ma una soluzione che non scontenti nessuno ci sarebbe: fare in modo che l'azienda di catering si rifornisca dei prodotti tipici delle aziende regionali. Un passo ulteriore per creare alleanze. Ci auguriamo che ci sia presto la possibilità di trovare dei luoghi di incontro per discutere insieme della proposta.

Sabato 15 Dicembre dalle ore 9.30 presso Hotel park di Ponte San Giovanni si terrà l'assemblea regionale di ANABIO Umbria che in occasione dell'assemblea elettiva si propone di riflettere sul tema: IL GIUSTO PREZZO DEL BIOLOGICO ITALIANO.

Un panel in cui interverranno esperti del settore come Manuel Vaquero Piñeiro - Professore dell'Università degli studi di Perugia, Fabio Brescacin- Presidente EcorNaturaSì ed Oxfam Italia per rispondere alla domanda: quale dovrebbe essere il prezzo giusto per i beni agroalimentari BIO?

La CIA Umbria, attraverso ANABIO, vuole continuare a svolgere un ruolo da protagonista all'interno della filiera biologica portavoce di trasparenza e comunicazione attiva necessaria per comprendere e far comprendere il giusto prezzo dei beni alimentari biologici.

La campagna Oxfam "al giusto prezzo", uno degli esempi che muovono in questa direzione, verrà presentata come model e come indicatore della complessità e complementarità delle forze che necessitano di essere coinvolte per sensibilizzare la società su questi argomenti.

Un tema delicato che coinvolge aspetti sociali, economico ambientali ed etici. Mission di un biologico che si erge sempre di più a bandiera della SOSTENIBILITÀ'. Solo il GIUSTO PREZZO per gli agricoltori può consentire loro di continuare a garantire processi produttivi di qualità a beneficio dell'intera comunità

 

In allegato: programma dell'iniziativa